L’IPOTERMIA E IL CONGELAMENTO

Il freddo è tra le cause preminenti dei danni cutanei acuti e cronici in ambiente montano. Il freddo può determinare sia fenomeni generali definiti ipotermia, sia fenomeni locali ascritti ai vari gradi di congelamento. L’ipotermia è un’emergenza medica multiorganica che si riscontra nelle cadute accidentali in corsi d’acqua gelata o nello sprofondamento nella neve (danni da valanga). Se la temperatura corporea scende sotto ai 35 gradi si va incontro a modificazioni cardiorespiratorie irreversibili e che determinano la morte. Il congelamento, invece, è un danno tessutale diretto che compare quando la temperatura cutanea scende al di sotto dello zero termico, è quindi un fenomeno di cristallizzazione dei tessuti dell'organismo esposti alle basse temperature. Frequente nei periodi di guerra, è oggi possibile osservarlo quando i meccanismi individuali di fuga o di difesa sono parzialmente o totalmente impediti e principalmente in ambienti montani contrassegnati da vento e freddo. Pertanto è imprudente soggiornare, con indumenti poco adeguati, in ambienti ventilati e freddi soprattutto per coloro i quali presentano danni cardiocircolatori e neurologici di tipo cronico (insuficienza circolatoria periferica, scompenso cardiaco, sclerosi multipla, ecc.). L’intensità del freddo, l’umidità, il tipo d’abbigliamento, la presenza di problemi vascolari e neurologici, l’assunzione d’alcool e lo sforzo concorrono a determinare il danno da freddo. L'organismo in questi casi si difende dal freddo mettendo in atto adattamenti vascolari atti a disperdere meno calore: si riduce drasticamente il flusso nei vasi delle estremità, mani, piedi, gambe, braccia, naso, padiglioni auricolari. Il sangue raffreddandosi diventa più denso, fino al punto di congelamento dell'acqua: si formano aghi di giaccio. Successivamente il circolo si ferma, l’estremità colpita diventa scura e dolente e se non si provvede al riscaldamento che non deve essere rapido, la gangrena equivalente alla morte tissutale, è inevitabile. Provoca danni spesso irreversibili al corpo umano, danni che vengono classificati a seconda della loro gravità1 :

  1. Le lesioni di primo grado(congelamento di I grado) provocano un rallentamento della circolazione con dolore ed edema locale. La cute diventa cianotica. In questo caso è sufficiente massaggiare delicatamente la parte colpita da congelamento per riattivare la circolazione del sangue. Gli esperti consigliano di allentare tutto quanto possa ostacolare il flusso sanguigno, dai lacci ai calzettoni. Si tratta comunque di un danno temporaneo e superficiale che si presenta con un’area anestetizzata ed ischemizzata (priva di sensibilità e pallida) che rapidamente si riscalda divenendo eritematosa (rossa) e dolorosa, ma guarisce senza nessun reliquiato.2. Le lesioni di secondo grado (congelamento di II grado) provocano un arresto della circolazione sanguigna con locale insensibilità immobilità e la prima comparsa di bolle. E’ quindi un raffreddamento più grave e prolungato che comporta un danno dermico sufficiente a causare edema (gonfiore) e la formazione delle bolle superficiali, che sono in genere a contenuto nerastro, si rompono e risultano molto dolorose.

    3. Le lesioni di terzo grado (congelamento di III grado) provocano la necrosi dei tessuti organici e il loro successivo sfaldamento. Si ha una necrosi (morte) dei tessuti con interessamento non solo della cute ma anche, nei casi più gravi, dei tessuti sottostanti. A volte la necrosi è secca (mummificazione) altre volte umida con infezione (gangrena). Le mani ed i piedi con congelamenti di questo tipo determinano necrosi demarcate con perdita di porzioni ampie di dita. Per le lesioni più gravi, di secondo e di terzo grado, un primo soccorso improvvisato non è sufficiente. I medici consigliano di chiamare subito i soccorsi e immergere la parte lesa in acqua tiepida (fra i 37° e i 40° C),  ricoprendola poi con panni asciutti. E’ comunque da evitare assolutamente di riscaldare la parte in modo improvviso e ed eccessivo, per esempio attraverso stufe o borse di acqua calda così come l'assunzione di alcolici, vasodilatatori che non favoriscono la circolazione del sangue perchè dilatando i vasi si produce ulteriore perdita di calore. Le lesioni di secondo o terzo grado richiedono l'immediato ricovero in ospedale 2.

[1] Ricordiamo come il vento, associato alle basse temperature, aumenta il rischio delle patologie legate al freddo. Il vento infatti, aumenta notevolmente la dispersione di calore del corpo umano. A parità di temperatura, più forte è la velocità del vento, maggiore è la sensazione di freddo (si determina l’effetto wind chill), soprattutto se gli indumenti sono bagnati dal sudore perché viene assorbito anche il calore di evaporazione. In altri contesti invece, un pericolo legato al vento deriva dalla sua intensità: se il vento è molto forte può causare la perdita dell'equilibrio, situazione molto pericolosa se si sta percorrendo una cresta. Inoltre, può aumentare il pericolo di valanghe e, quando ha una forza tale da trasportare la neve, da origine ad una pericolosa tormenta.

[1] Sull’area del congelamento di 1° grado sono utili creme emollienti e protettive prive di antibiotici. Inutili i corticosteroidi o gli anestetici locali. Nel 2° grado le flittene vanno aperte e medicate con soluzioni disinfettanti (amuchina) a basse diluizioni (0,05%). Per il dolore, ove presente, utili gli analgesici centrali non oppioidi come il tramadolo. Nel caso di forme umide è opportuno applicare creme antibiotiche (gentamicina e/o auromicina) ed inviare rapidamente il paziente in centri specialistici. Ricordiamo inoltre  come sono frequenti i danni ad andamento cronico, in soggetti predisposti, legati all’esposizione prolungata al freddo. Questo significa che, un certo numero di persone, in montagna sulla neve ad esempio, possono presentare problematiche tenaci e spesso misconosciute. In primo luogo la perniosi (o eritema pernio o gelone), per lo più legato ad una piccola insufficienza vascolare periferica. Le lesioni sono tipicamente localizzate sulla superficie dorsale delle dita delle mani e dei piedi, sul bordo anteriore della tibia o sulla parte interna del ginocchio e delle cosce. Si tratta di noduli molli ben delimitati, di colorito blu-rossastro, che divengono pruriginosi e successivamente dolorosi e che peggiorano nei rapidi riscaldamenti. I farmaci vasodilatatori non sono di grande aiuto mentre la pentossifillina 400 mg/die possiede una buona azione curativa. L’impiego locale d’ultrasuoni e creme a base d’eparinoidi può avere valore preventivo. La forma è più frequente nelle donne ed assume spesso carattere familiare.

FONTI: www.inalto.org , www.dermoaq.it